TEXAS, U.S.A. - Voci dal Braccio della Morte

          Ultimo aggiornamento: 22/10/2008
   

BRACCIO DELLA MORTE DEL TEXAS

BLOCCO J-21

(Raheem Y.R. Mustaffa)

Huntsville, Texas, 25 gennaio. Un prigioniero del braccio della morte e' picchiato e ingiuriato in una piccola camera che fa da barriera tra guardie e prigionieri nella zona ricreativa. E' stato la' per circa 30 minuti. Il suo braccio destro era completamente slogato, il viso distorto dal dolore. L'unita' infermieristica, allontanatasi un minuto, era stata avvertita. E l'ufficiale medico in servizio, che era stato sollecitato dai prigionieri ad intervenire, continuo' a sostenere stolidamente che aveva fatto tutto il possibile per notificare l'accaduto ai superiori e ai paramedici. I prigionieri, con preoccupazione sempre crescente, cominciarono ad insultare qualunque ufficiale camminasse nel corridoio principale, e potesse essere visto attraverso un grappolo di piccole finestre protette da vetri.

Molti si fermavano incuriositi, ma nessuno era preoccupato. "Occupatevi degli affari vostri" disse un sergente. "E' affar mio" replico' animato John (Jazz) Barefield "potrebbe toccare a me". I prigionieri che prima erano occupati con la TV, i giochi da tavolo e la palla, cominciarono a prestare attenzione agli sviluppi della situazione. Ora si mossero, come foglie mosse dal vento. Poi insieme si alzarono in 2. 3. 4, 6, tutti. 12 forze. L'aria? Carica di tensione. Sentendo che qualcosa arrivava all'orizzonte, un'infermiera fu prontamente chiamata e senza sorpresa di nessuno, entro' con aria provocatoria, accompagnata da 2 guardie. Non appena ebbe raggiunto le altre guardie gia' sul posto comincio': "in piedi, prigioniero". Tony Ford si alzo', ma con un leggero piegamento su un lato (presumibilmente per non comprimere la giuntura, in modo da alleviare il dolore). "Alzati dritto!" disse l'infermiera. "Signora..." "Cosa? Signora?" ella lo zitti' brutalmente "Penso che tu abbia bisogno di una lezione". Poi girandosi verso una delle guardie: "non posso visitare il prigioniero, se non collabora". "ti sto dando il preciso ordine di stare dritto in piedi, come ti e' gia' stato detto" aggiunse un'altra. "Ma il mio..." "Non vogliamo sentire nulla!" aggiunse una seconda guardia "Alzati, girati e metti le mani dietro la schiena" ordino' mentre prendeva le manette che aveva attaccate alla cintura.

A questo punto alcuni prigionieri cominciarono a urlare alle guardie. Qualcuno grido': "Porta quell'uomo in infermeria e medicalo!". Altri, incluso William Kitchens, a cui erano state rifiutate le cure mediche dopo una ferita al collo la settimana prima, e che avrebbe potuto esplodere ed eventualmente mandare in frantumi molte finestre, conservarono un atteggiamento diplomatico. Ma la diplomazia non funziono' e la situazione raggiunse nuovi livelli, aumentando le frustrazioni di Kitchens. "Cosi' tu vuoi qualche ..., non e' vero?" chiese con rabbia "va bene, allora. Ti daro' qualche ..., un buco di...!" Disgustato, volto' le spalle alle guardie e se ne ando'. Fece 3 passi e si fermo', forse per indecisione, si mosse in una direzione, poi in un'altra, si fermo' di nuovo, giusto davanti alle finestre di protezione. In bilico su una gamba, colpi' il vetro col tallone del piede alzato. Il vetro scricchiolo' nel punto di impatto, ma tenne. Nessun vetro rotto. Ma il secondo calcio, piu' potente, spinse la grata di protezione contro il vetro, che esplose verso il corridoio principale. Ne ruppe 1, 2, 3, 4. Gli altri prigionieri guardavano con approvazione, senza risa di divertimento. Le loro facce erano dure, ma assentivano, qualcosa si doveva fare. Erano stanchi, senza cibo, sentivano di dover lottare. Tony Ford, il prigioniero ferito, aveva bisogno che ognuno stesse calmo e non fossimo portati a infiammarci e a diventare maneschi. Egli stette dritto, piu' dritto che pote', non molto di piu' di quanto fosse stato prima, giro' la schiena alla guardia che teneva le manette e pose le mani dietro la schiena. La guardia lo ammanetto', raggiunse la mano di Ford con la spalla slogata, lo strattono' duramente ammanettandolo. Il prigioniero si divincolo' e bestemmio' non appena fu toccata la parte ferita, e fu condotto via.

Qualche minuto piu' tardi il sergente torno' con un gruppo di guardie. Voleva William Kitchens. Ma Kitchens voleva qualcuno di grado piu' alto a cui spiegare il caso. Non senti' ragioni perche' sarebbe finito in cella di isolamento prima di un provvedimento disciplinare oppure doveva essergli data almeno l'opportunita' di parlare ad un luogotenente o capitano o al direttore, considerando tutte le estenuanti circostanze. Il sergente si rifiuto', creando cosi' una situazione di "impasse" e ordino' che tutti gli altri fossero rinchiusi, perche' Kitchens rimanesse isolato. Ma non un solo prigioniero lo lascio' solo, anche se egli non incoraggio' nessuno a ribellarsi. Al contrario, ci disse di andare in pace, e per salvarci tutti rientro' senza incidenti. Fu piazzato in isolamento, senza essere ascoltato. Anche John "Jazz" Barefield venne messo in isolamento senza spiegazione, senza essere ascoltato, ed un altro, che non vorrei fare identificare, fu incolpato di ingiurie e gli furono dati 10 giorni di cella di rigore.

Cosciente della mia stessa rabbia e frustrazione, feci uno sforzo per essere il piu' imparziale possibile nelle mie osservazioni. Naturalmente qualcuno potrebbe giustamente chiedersi se la mia abilita' nell'essere equo risenta della mia posizione e del mio disagio verso il sistema. Ma a parte la mia posizione e il sistema, io cerco di vedere le persone come tali in tutte le circostanze agenti al di fuori del loro status individuale. Ed in questo giudizio, sembrava piuttosto sfortuna che la situazione col sergente peggiorasse e finisse in protesta, malgrado il fatto che tutto fosse cominciato con una guardia che trovava piacere nella miserabile condizione di un prigioniero ferito, insieme con un'incredibilmente lenta reazione del personale medico. Il sergente arrivo' quando la situazione era gia' in fermento e forse maldestramente preparato. Poco professionalmente, considero' come rivolta verso lui stesso alcuni commenti che furono fatti e cosi' inizio' lo scontro. In piu' sembrava si sentisse obbligato (nell'interesse del sistema suppongo) a dimostrare fedelta' ai colleghi ed allo staff medico, e per queste ragioni decise consciamente di interpretare la richiesta di Kitchens di aver a che fare con un'autorita' di grado piu' alto come un insulto anziche' come un appello per ottenere considerazione.

19 febbraio

Una guardia ed un prigioniero si scambiarono parole di fuoco. Il prigioniero, Esequel Banda, venne rinchiuso in una cella di 5x9 piedi, senza ricevere nessuna punizione corporale; poi la guardia per rabbia, o forse per odio razziale, se ne ando' tornando con un secchio contenente 5 galloni di acqua bollente. Colto di sorpresa, Banda venne ustionato. L'intero blocco di celle esplose in un ruggito, specialmente dopo che un ufficiale di alto grado ordino' ai subalterni di eliminare le prove prima che venissero scattate delle foto. Non fu questa la prima volta che un prigioniero chiuso in una cella venne ustionato da una guardia. Precedentemente un'altra, che ancora oggi lavora nel braccio della morte, aveva versato su un prigioniero un gallone di caffe' bollente.

(n.d.t.: 1 piede = 30.5 cm; 1 gallone = 4.54 litri)

21 febbraio

Il condannato William Kitchens evase dalla cella infilandosi nel sistema idraulico del braccio. La' incontro' e lotto' con una guardia, che successivamente dovette ricevere diversi punti di sutura in testa, secondo il giornale di Dallas "Dallas Morning News" (24/2/94). Lo stesso giornale riporto' che l'obiettivo di Kitchens era arrivare al posto di guardia dove grandi marchingegni controllano le porte del blocco di celle. E nella confusione della lotta, Kitchens cerco' di raggiungere il controllo delle porte, suggerendo l'idea che sperasse di incitare ad una rivolta. Endeavor non ha prove che Kitchens intendesse fare cio'. Era stato sempre in isolamento dal giorno dell'incidente, e comunque non fu disponibile per un commento. Comunque il rapporto del giornale, che riferisce che egli fu visto aprire la porta ed incitare alla rivolta e' inconsistente e contrario alle sue azioni passate, come quelle del 25/1, quando torno' in cella per tenere gli altri fuori dalla protesta. Le intenzioni di Kitchens diventano piu' chiare se consideriamo il fatto che e' ufficialmente ricordato per essersi costantemente lamentato con i sergenti e il direttore per la perpetua disumanita' che rende la vita in prigione eccessivamente e non necessariamente dura e deprimente. In occasione di una slogatura, quando stava facendo un enorme sforzo per camminare diritto, ma era ancora tenuto in isolamento da certe guardie, disse che "sarebbe tornato alle sue vecchie maniere" se certe guardie non lo avessero lasciato stare. "L'ho detto al direttore e a tutti gli altri".

22 febbraio:

1° piano: fuochi molteplici; 2° piano: allagamenti; 3° piano: cataste di macerie.

C'era una maledetta confusione: tosse, risa, urla, bestemmie, litigi. Il fumo dei fuochi serrava le gole come dita strangolanti e il gas lacrimogeno pungeva occhi e narici come sciami di vespe. Il posto? Il blocco J-21. Il piu' celebre blocco del braccio della morte. L'ala dell'ultimo attacco dei disadattati, secondo la classificazione amministativa. Un ufficiale era stato attaccato la notte prima, provocando una massiccia reazione, caratterizzata da eccessiva forza. La piu' lieve esitazione ad eseguire un ordine era vista come ribellione e trattata come tale. Le giubbe grigie delle squadre speciali (di cui si scrisse lo scorso aprile) marciavano in cerca di ribellione, e dove non la trovavano, la provocavano. La provocavano e la reprimevano. Molti resistevano alla provocazione, ma a costo di deprimenti umiliazioni. Provocazione e repressione era il modo di operare. Si stava insegnando una lezione, ed era la paura. Le giubbe grigie attaccarono con violenza un piano alla volta, una cella per volta, un prigioniero per volta. Ogni prigioniero era da solo, ma non solo con se stesso, perche' nello spirito noi eravamo una sola forza.

Provocazione con successo

Piano 2, cella 12. Prigioniero: Jessy SanMiguel.

Fu il primo a soccombere alla provocazione e, come insetti attratti dalla luce, le giubbe grigie proruppero sulla scena con grande anticipo sul verificarsi del dramma. Per queste guardie, molte delle quali erano giovani esordienti, era un momento atteso. Era molta l'eccitante materia su cui scrivere a casa. E le loro sensazioni erano molto simili a quelle di un bambino alla sua prima caccia, o in alcuni casi, a quello che prova un giovane del Ku Klux Klan al suo primo linciaggio. In ogni caso i loro concetti erano immaturi e impregnati del terribile male del sud. Non avevano salde opinioni sull'essenza dei problemi, nei termini di tutti i fattori estenuanti che avevano prodotto cio'. Vedevano soltanto una sfida e l'opportunita' di far parte di una caccia o linciaggio. La vista del direttore, che piu' tardi apparve protetto da una speciale task-force, non fece nulla per allentare la tensione. Non venne per negoziare, ma per distruggere. Il suo abbigliamento stile western: stivali marroni da cowboy, jeans beige, camicia di cotone bianca, cappello beige da cowboy e lungo sigaro (un'estensione dell'idea di se stesso?) che lo poneva molto a distanza da tutte le guardie.

La repressione

Alla vista del direttore, Jessy Sanmiguel tento' di spiegare le sue ragioni, ma fu rudemente zittito. "Non sono venuto per ascoltare i tuoi lamenti" disse il direttore, mentre si metteva una maschera antigas datagli da uno dei grigi. Gli altri, seguendo l'esempio del loro capo, indossarono le maschere. Quando furono tutti pronti, fu dato il primo ordine: "Squadra!!". Con passi piccoli e sincronizzati, la forza speciale si mise in marcia. "Alt!". Si fermarono tutti sullo stesso piede, fascino militare, col comandante e gli scudi protettivi appena in vista.

Elmetto nero, nera la maschera antigas. Neri i giubbotti protettivi. Neri i lunghi guanti. Nere le fondine. Neri i paraginocchi. Approssimativamente, 250 sterline. Avanzarono con l'attenzione di un cane che aspetta il comando. L'immagine era formidabile. "Squadra! Avanti!!". Ancora, come un solo passo, avanzarono. "Squadra! Posizione!!". Uno dietro l'altro, si allinearono e si posizionarono davanti alla porta della cella da invadere. Ci fu una breve pausa, poi venne il gas. "Dodici!". Piu' veloci che poterono, con tutta la loro forza girarono la pesante maniglia e penetrarono nella cella in dodici con grande frastuono. In quella maledetta situazione si senti' un rumore, tuonante, che duro' alcuni secondi (un'intensa violenza che termina in un terribile ma familiare suono: il suono di un corpo che sbatte contro qualcosa di materiale). Sottomesso, fu portato fuori nudo, ammanettato mani e piedi. Fu portato via a faccia in giu' con una guardia che teneva ogni braccio e una che gli teneva i piedi. Il suo peso ricadeva sulle spalle, il viso e la gola sfioravano il pavimento. Lo conducevano come fosse stato una fetta di carne, e come una fetta di carne gettarono il suo corpo nudo in una fredda, nuda cella e ce lo chiusero dentro. Soltanto per tornare, e condurne un altro.

I comandi furono uditi ancora tutt'intorno: "Truppa!" (passi di marcia). "Alt!" (silenzio). "Truppa! Avanti!" (il passo riprese). "Truppa! Posizione!" (una pausa). "Tredici!" (un rumore). Questo fecero e fecero ancora. Poi, rapidamente come erano venuti, se ne andarono. E ci fu, malgrado il rumore, il fumo, i fuochi, gli allagamenti, il gas lacrimogeno, un senso di pace, di sollievo. Un periodo di riposo che duro' un giorno intero. Venni svegliato il mattino seguente dall'agitazione nell'ala adiacente.

L'imboscata

Piano: 1°. Cella: 18. Prigioniero: Jermarr Arnold

"E' arrivata la manutenzione per sistemare il tuo lavandino" disse un sergente entrando.

"Io non ho chiesto nulla, non ho problemi col mio lavandino" rispose Arnold. Il sergente quietamente se ne ando', in accordo con Arnold, e nulla sembrava stesse per accadere fuori dall'ordinario. Arnold non aveva ragione di essere sospettoso, anche se un altro prigioniero gli aveva chiesto piuttosto urgentemente cosa stesse succedendo. L'altro prigioniero aveva visto la forza speciale in attesa, e pensava che anche Arnold l'avesse vista. Ma non era cosi'. E prima che capisse cosa succedeva, la porta si apri' ed inizio' la lotta. A sorpresa e ingiustamente lo atterrarono in tempo record, lo picchiarono e lo presero a calci anche dopo averlo ferito a mani e piedi. Dopodiche' gli stettero sopra, steso sul freddo pavimento con le mani ferite dietro la schiena, i piedi incatenati insieme, col sangue che gli usciva dalla bocca. Rantolava e tossiva. Tossiva e rantolava. Non riusciva a respirare, ma non c'erano corde, cinture o mani bianche intorno al suo collo. Rantolava, tossiva. Sputava sangue. Piu' sangue. Un altro colpo di tosse. E finalmente venne fuori l'oggetto che ostruiva il respiro: un suo dente. (Un altro dente giaceva non lontano da lui. L'avevano picchiato anche dopo averlo immobilizzato). Jermarr Arnold e' un grande uomo. Un uomo forte. Un nero con una brutta reputazione che circolava per quasi 2000 miglia fino ad una prigione della California: Pelican Bay. E' una grande preda in una caccia segretamente giocata in un ambiente controllato, dove agli uomini non e' permesso essere uomini. Dove davvero e' impossibile per chiunque essere pienamente umani, data la natura della lotta. Dove ogni uomo lotta per mantenere la sua umanita', mentre un altro la perde nello sforzo di distruggere quella di un altro.

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